Da quando, a fine ottobre 2021, Facebook Inc. ha assunto il nome di Meta Platforms Inc. il termine “metaverso” è sempre più ricorrente.
Che cos’è il metaverso? Esiste già? Qual è il suo rapporto con altre tecnologie – blockchain, token, NFT, criptovalute, smart contract e finanza decentralizzata – spesso citate insieme al metaverso?
Un percorso di lettura ci ha permesso di farci un’idea più precisa di una delle possibili evoluzioni del mondo digitale. Seguiteci!
Sintetizzando, l’attuale web 2.0 è caratterizzato dalla centralità dei contenuti e dalla natura monadica, sebbene partecipativa, di applicazioni e utenti. Ai primi del 1996 Bill Gates aveva previsto che il contenuto sarebbe diventato il re del web. E così è: i contenuti sono fondamentali per la discoverability e findability di argomenti, servizi e prodotti; per tracciare le attività online delle persone e personalizzare le proposte; per guidare decisioni e azioni. Se è vero che siti e app sono accomunati dalla centralità dei contenuti, è anche vero che ogni applicazione è una monade, un’entità tendenzialmente a sé stante. E anche la persona, sul web, è una “unità sola”, che anche sui social media ha una percezione piuttosto astratta della compresenza degli altri e del contesto. Siamo un insieme di singolarità che, usando dispositivi mobili, browser e app, si spostano da un mondo digitale all’altro guidati dalla rilevanza percepita dei contenuti.
Nella sua accezione più radicale, il metaverso mira a superare la natura monadica di applicazioni e utenti tipica del web 2.0, configurandosi come il mondo in cui svolgere ogni attività digitale. Un mondo formato da un numero non predefinito di contesti persistenti e interoperabili, immersivi e renderizzati in tempo reale, in cui un numero non predefinito di persone rappresentate digitalmente vive in modo sincrono, esperendo un senso di compresenza, potendo interagire con ambienti, oggetti e persone, spostandosi da un contesto all’altro senza soluzione di continuità e vivendo un’esperienza sempre coerente… come nel mondo fisico. Nella sua accezione più radicale, il metaverso è l’”al di là” digitale del mondo reale, il gemello diverso che ne incorpora alcuni meccanismi di base, sottoponendoli però al potere trasformativo insito nelle tecnologie digitali. Il metaverso sarà una realtà virtuale, altra da quella fisica? Oppure un livello che aumenta il mondo reale? Oppure il digital twin matematico del mondo fisico, finalizzato ad attività di analisi, simulazione, predizione e automazione tipiche dei settori della ricerca, dello sviluppo e dell’applicazione industriale? Non è dato sapere quale sarà la visione vincente. Né è dato sapere, se il web 3.0 vedrà la nascita di un solo metaverso (“il metaverso”) o di vari micro-metaversi, auspicabilmente interoperabili, dedicati ad ambiti e compiti specifici.
Nel metaverso i contenuti saranno ancora centrali? Se da un lato non vi è comunicazione senza contenuti, dall’altro gli studiosi sembrano concordi nell’affermare che il web 3.0, oltre a cambiare la nostra vita digitale, segnerà il passaggio dalla centralità del contenuto al primato dello scambio di valore. Il metaverso o i micro-metaversi ingloberanno quindi economie funzionanti, come fanno già attualmente gli ambienti play to earn come Roblox, che sono al tempo stesso giochi e marketplace di beni digitali.
Nuova esperienza utente, non più incentrata su mobile, browser e app, ed economia digitale compiuta richiedono la convergenza di tecnologie che utilizziamo già e di altre che ancora vanno portate a maturazione. Gli sviluppi tecnologici e il modo in cui le tecnologie convergeranno ed entreranno in costellazione fra loro contribuiranno a delineare il volto del web 3.0… a iniziare dalla necessità di disporre capillarmente di connettività wireless ad alta velocità (5G).
Nell’ipotesi più radicale, quella del metaverso inteso come realtà virtuale altra da quella fisica, gli head-mounted display (HMD) saranno prevedibilmente gli attuatori della nostra vita digitale. Diventeranno dispositivi mainstream? Non è dato saperlo. Molto dipende dalla soluzione di problemi tecnici (es. di comfort, usabilità e assenza di effetti collaterali), dalla percezione dell’utilità o della valenza ludica dei contesti digitali accessibili mediante gli HMD, nonché dal prezzo di acquisto. Secondo alcuni esperti, la Location Based VR – cioè la possibilità di vivere la realtà virtuale in spazi dedicati o presso punti vendita – potrebbe svolgere un ruolo importante nella diffusione della conoscenza della VR e nell’invogliare le persone ad acquistare degli head-mounted display.
Rispetto alla realtà virtuale, quella aumentata non punta tanto sull’immersività, quanto sulla valenza informativa, spendibile in chiave B2B (es. formazione, guida all’operatività, interazione contestuale con operatori remoti, simulazione, ecc.) e B2C (es. possibilità di “provare” oggetti su di sé o nell’ambiente di destinazione; sovrapposizione al reale di contenuti contestuali e personalizzati, ecc.). Sulla realtà virtuale quella aumentata ha il vantaggio di essere fruibile anche via mobile, con app dedicate o browser, se le applicazioni sono sviluppate con la nuova tecnologia WebAR, interessante perché elimina un ostacolo all’accesso all’AR, ovvero la necessità di scaricare un’app dedicata, e permette di diffondere la conoscenza di una data applicazione WebAR condividendone semplicemente il link. Anche giochi famosi come Pokémon GO e ambienti di sviluppo come SnapAR, integrati in piattaforme ben frequentate come Snapchat, possono abituare le persone a usare la AR. E gli AR glasses? Vale quanto detto per gli HMD: più saranno belli, leggeri e confortevoli, capaci di dissipare il calore e dotati di lenti graduabili, nonché funzionanti anche in ambienti interni, più la loro adozione mainstream sarà probabile.
Se di VR e AR si parla già da anni, è forse la creazione di un’economia digitale compiuta a richiedere la convergenza delle tecnologie più innovative: blockchain, token e tokenizzazione, NFT, criptovalute, smart contract e finanza decentralizzata.
La tecnologia di base su cui si fonda il progetto di economia digitale compiuta è la blockchain, e sue evoluzioni.
Partiamo dal presupposto che la fiducia è uno dei fattori abilitanti dell’economia. La tecnologia blockchain nasce come risposta algoritmica all’esigenza di disporre di un registro fidato e condiviso delle transazioni fra le parti, di eliminare l’esigenza di un’autorità garante centrale e di livelli intermedi di controllo, e di ridurre al minimo la possibilità di comportamenti fraudolenti. Nel modello di rete decentralizzata e peer-to-peer tipico della blockchain, la fiducia tra le parti è automatizzata, poiché è sostituita dalla trasparenza e dalla crittografia, che permettono a ogni parte di verificare autonomamente l’autenticità di un dato (es. relativo a una proprietà, a una transazione, ecc.). Così anche parti che non si conoscevano prima possono iniziare a transare, con fiducia, il che agevola la creazione di marketplace dinamici.
Nella blockchain ogni “blocco”, temporalmente connotato, contiene un insieme di transazioni ed è collegato mediante crittografia al blocco precedente, così da “concatenare” una serie di transazioni. Caratteristica della blockchain è che i blocchi sono in sola scrittura e lettura, non sono modificabili né cancellabili. Unita alla trasparenza della rete, questa peculiarità garantisce immutabilità e sicurezza della catena.
Attualmente la blockchain trova applicazione in particolare nei seguenti ambiti: track-and-trace fidato nel contesto della supply chain management di beni fisici e digitali; identity e record management autogestito dalle parti, ma non falsificabile; smart contract finalizzati ad automatizzare verifica ed esecuzione delle condizioni contrattuali, sulla base di dati fidati (es. ricevuti anche da oggetti IoT) e di data trigger. Numerosi i settori in cui la blockchain ha già trasformato o potrà trasformare il modo in cui le parti si relazionano: assicurazioni (es. attuazione di nuovi modelli di assicurazione pay-per-use o di liquidazione automatica dell’assicurato basati su smart contract e sulla ricezione di dati fidati, da oggetti IoT, pubblica amministrazione, forze dell’ordine, ecc.); automotive (es. disintermediazione di servizi di car sharing, car pooling e ride sharing, ecc.); banche (es. identity management su base blockchain per abilitare ai servizi finanziari persone che, es. nei paesi emergenti, attualmente non vi hanno accesso a causa delle complessità burocratiche legate alla verifica dell’identità; automazione e disintermediazione della verifica di informazioni finanziarie prima, durante e dopo il trasferimento di asset, ecc.); energia (es. applicazioni su base blockchain per consentire a micro-produttori di vendere, acquistare o scambiare energia all’interno di reti di prossimità, facendo crescere un network di prosumer peer-to-peer decentralizzata e controllata, ecc.); formazione (es. in uno scenario di formazione continua e di proliferazione degli enti formativi, firma digitale degli attestati e loro verifica automatica da parte di istituzioni e aziende autorizzate, anche nel caso in cui l’ente emittente dovesse non esistere più, ecc.); industria (es. track-and-trace su base blockchain del ciclo di vita di componenti e prodotti a fini di verifica di conformità e certificazioni, lotta alla contraffazione, certificazione della catena del freddo, incremento della fiducia nel mercato dell’usato, ecc.; acquisizione di dati telemetrici fidati da oggetti IoT e dell’industria 4.0; diffusione di dati nel rispetto della proprietà intellettuale, fra cui anche quella degli “oceani” di dati necessari ad allenare algoritmi AI sviluppati da aziende impossibilitate a produrre autonomamente tali dati, ecc.); sanità (es. cartella clinica ad accessibilità universale, che permette al paziente di stabilire e verificare chi, come e quando accede ai suoi dati, ecc.).
Per quanto promettente, la tecnologia blockchain non è esente da criticità di varia natura: per realizzare applicazioni su base blockchain efficaci ed efficienti è necessario che tutti gli attori chiave di un dato ecosistema aderiscano al network, il che implica cambi strategici e organizzativi, standardizzazione dei processi, interoperabilità dei dati, governance di sistemi complessi con interessi divergenti fra cui mediare, ecc.; per funzionare, i data trigger degli smart contract necessitano di dati fidati provenienti dal mondo reale, il che presuppone anche l’esistenza di sensori e dispositivi fidati per connettere gli oggetti fisici alla blockchain; sono poi auspicabili la riduzione di tempi, fabbisogno energetico e costi di processo e validazione delle transazioni, la riduzione e la stabilizzazione dei gas fee (costo che l’acquirente sostiene per concludere una transazione o eseguire un contratto su blockchain), l’aumento del numero di transazioni per secondo (attualmente fino a 7.000 contro le circa 45.000 del circuito VISA), l’espansione della memoria dei blocchi della catena (attualmente da 1 a 4 Mb).
A prescindere da questa breve panoramica sulla blockchain, nell’ambito del web 3.0 è rilevante che i token non fungibili e fungibili basano il loro funzionamento su blockchain.
I token (“gettoni”) crittografici sono asset informatizzati, basati su blockchain, che permettono di rappresentare nel mondo digitale del web 2.0 o 3.0 qualsiasi bene materiale o immateriale, intero o frazionato. Tokenizzazione è dunque la procedura che porta alla rappresentazione univoca del bene, costituendone certificato di proprietà e rendendolo scambiabile fra le parti senza necessità di intermediari diversi dal protocollo informatico stesso. In base alla loro funzione i token sono definiti non fungibili o fungibili.
Come il termine “metaverso”, anche l’acronimo NFT ricorre sempre più spesso anche nel dibattito pubblico: dalla vendita all’asta nel 2021 dell’NFT del primo tweet per quasi 3 milioni di dollari alla pixel art NFT, dalla piattaforma di collezionismo digitale NBA Top Shot alla collezione NFT SuperGucci e a quelle di altri brand famosi come Ralph Lauren e Dolce e Gabbana, Nike e Adidas… le notizie curiose non mancano.
NFT sta per non-fungible token, gettone non fungibile, cioè non riproducibile né reciprocamente intercambiabile. Si tratta del tipo di token che rappresenta il certificato di autenticità e l’atto di proprietà su base blockchain di un bene unico, materiale o immateriale.
Certificando l’originalità della rappresentazione digitale di un bene fisico oppure l’originalità di una copia nativamente digitale (in quanto tale intrinsecamente priva di originale), l’NFT rendere artificiosamente scarso l’asset digitale, contribuendo a formarne il valore. Inoltre, certificandone la proprietà, lo rende legittimamente scambiabile (vendita, acquisto, noleggio, ecc.).
In sintesi, i token non fungibili abilitano la creazione dell’economia digitale compiuta, tipica del web 3.0, in cui ci aspettiamo di vedere riconosciuta in modo persistente la nostra proprietà su determinati asset e la possibilità di portarceli appresso per i vari contesti del mondo digitale, come facciamo in quello fisico.
A prescindere dagli usi attuali nell’ambito della pixel art, del collezionismo digitale e dei giochi play to earn, gli NFT potrebbero diventare un importante punto di contatto fra azienda e cliente, sotto il controllo dall’azienda, anziché delle attuali piattaforme terze. Infatti la tecnologia su cui si basano gli NFT può identificare non solo beni digitali, ma anche esperienze uniche (es. il fatto che una persona partecipi a un dato evento, ecc.) oppure un oggetto fisico. Già oggi, tecnologie emergenti come quella di Veracity Protocol facilitano la creazione di identificativi digitali codificabili all’interno di un NFT, ID derivati anche direttamente dal materiale oppure da caratteristiche strutturali dell’oggetto fisico. Questi identificativi sono in grado di tracciare la cronistoria delle esperienze di acquisto e di utilizzo del prodotto, permettendone la rappresentazione nativa e immediata all’interno delle nostre vite digitali, nonché il controllo da parte nostra dei criteri di condivisione. In linea di principio, previa autorizzazione da parte del cliente, l’azienda potrebbe rimanere in contatto con il prodotto anche dopo averlo venduto, con importanti ricadute sulla fase di post-vendita e sulla creazione di un mercato dell’usato fidato e a maggiore valore aggiunto.
In ambito business, poi, l’emissione di token in luogo di strumenti finanziari tradizionali (es. azioni) permette di finanziare direttamente idee imprenditoriali mediante lo strumento della Initial Coin Offering (ICO), affine alle “Initial Public Offering” (IPO) e all’equity crowdfunding. I gettoni vengono offerti agli investitori che li acquistano contro monete fiat o criptovalute.
Nel nostro modello economico, che il web 3.0 sembra destinato a riprendere, oltre alla fiducia e alla proprietà, anche la moneta gioca un ruolo importante.
Già da qualche anno le criptovalute ci sono famigliari accanto alle monete fiat (che si distinguono dalle monete-merce, perché derivano il loro valore non dal materiale di cui sono fatte, ma essenzialmente dalla fiducia nell’autorità che la emette, tipicamente uno Stato o una banca centrale).
Dal punto di vista tecnico, le valute virtuali sono token fungibili, caratterizzati dal fatto di essere duplicabili un numero non predefinito di volte e che ogni copia è identica (è impossibile determinare univocamente l’identità del singolo token e differenziarlo dalle altre copie dello stesso), di pari funzione e uso, e interscambiabile.
Diversamente dalle monete fiat, il valore delle criptovalute non è garantito dall’autorità che la emette; non è garantito nemmeno da soggetti privati o da un bene materiale di riferimento, ma si basa sulla pura utilità, cioè sull’aspettativa (o meglio: sulla scommessa) che un insieme di persone ne ricononosca il valore e le usi per regolare i propri scambi. Come sottolinea Consob nella sezione del sito dedicata alle criptovalute (https://www.consob.it/web/investor-education/criptovalute), “le monete virtuali non sono regolate da enti centrali governativi, ma sono generalmente emesse e controllate dall’ente emittente secondo regole proprie, a cui i membri della comunità di riferimento accettano di aderire”, ovvero “le monete virtuali non hanno corso legale in quasi nessun angolo del pianeta e dunque l’accettazione come mezzo di pagamento è su base volontaria” e avviene in modalità peer-to-peer, senza necessità di intermediari.
Le valute virtuali si articolano in chiuse, unidirezionali e bidirezionali, in base alla possibilità o meno di poter scambiare la criptovaluta con moneta a corso legale (unidirezionale), e viceversa (bidirezionale), e alla tipologia di asset acquistabili (solo beni virtuali e servizi nel caso di criptovaluta chiusa; anche beni reali nel caso di criptovalute unidirezionali e bidirezionali).
Allargando lo sguardo, la finanza decentralizzata (DeFi – Decentralized Finance) rappresenta una delle ricadute più interessanti delle criptovalute. Si tratta di un sistema finalizzato a erogare servizi simili a quelli forniti da banche, scambi e borse, ma decentralizzati, disintermediati ed eseguiti automaticamente, grazie all’impiego di tecnologie blockchain e di smart contract. Gli smart contract sono contratti i cui termini, dopo essere stati tradotti dal linguaggio dialettico legale a quello deterministico informatico, sono registrati su blockchain e la cui esecuzione è affidata ad agenti software che operano autonomamente in base al manifestarsi di determinati eventi (es. un’assicurazione sul ritardo di un volo può liquidare automaticamente i sottoscriventi, quando riceve il dato – es. dall’aeroporto di destinazione o dalla compagnia aerea – che il volo accusa un ritardo superiore a una soglia predefinita). La finanza decentralizzata trova applicazione nell’esecuzione di pagamenti e contratti; nell’erogazione di prestiti; nell’acquisizione all’interno della blockchain di dati fidati del mondo reale su cui basare i data trigger necessari a scatenare gli automatismi degli smart contract; nello scambio disintermediato, peer-to-peer, di criptovalute; nella gestione del frazionamento della proprietà di NFT anche rappresentativi di beni fisici (es. di una proprietà immobiliare), ecc.
Il ruolo che anche nel web 3.0 avranno dati fidati, data trigger e agenzia autonoma degli agenti digitali è un indicatore dell’importanza che IoT e oggetti dell’industria 4.0, AI e machine/deep learning sono destinati ad avere pure nella creazione dell’economia digitale compiuta.
L’evoluzione del web 3.0 e del metaverso (o dei micro-metaversi) è costellata non solo di incertezze e di questioni tecniche da risolvere, ma anche di altre criticità da affrontare: dai modelli di governance di network decentralizzati al bilanciamento fra trasparenza e privacy nelle applicazioni su base blockchain, dalla definizione degli standard necessari a rendere interoperabili dati e ambienti digitali al rapporto fra privacy e VR/AR, dalle ripercussioni personali e sociali della relazione fra le vite nel mondo fisico e nei mondi digitali alla regolamentazione dell’economia digitale decentralizzata… tanti temi da seguire con curiosità e interesse, poiché contribuiranno a definire il contesto in cui vivremo e lavoreremo nel prossimo futuro.